I problemi organizzativi delle aziende si sono moltiplicati durante la pandemia, costringendo a rivedere regole assodate e assiomi che sembravano solidi. Un cambiamento in realtà già in atto, dove la cura dei collaboratori si era già fatta cruciale per il bene del business e l’armonia aziendale. Un cambiamento che è prima di tutto culturale.
Skills nuove, figure professionali nuove, e un nuovo modo di rapportarsi hanno appiattito le vecchie gerarchie verticali all’interno delle organizzazioni - specie quelle più grandi - e allontanano le nuove aziende dal vecchio concetto taylorista per lasciare spazio a maggiore creatività e autonomia. Ovviamente il tutto legato ai valori portanti che l’azienda fa propri e deve essere brava a trasferire ai propri collaboratori.
Oltre a modelli di business, modelli di prezzo e analisi di prodotti, c’è una domanda a cui i nuovi manager devono essere in grado di dare una risposta, pronta ed efficace: come rendere i collaboratori maggiormente coinvolti e soddisfatti all’interno dell’azienda?
Ecco il Community Design.
Questa nuova figura fa perno sul concetto che tutte le organizzazioni si fondano su relazioni umane, prima che professionali. Ogni organizzazione può essere perciò paragonata a una community. E tutte le community nascono e crescono intorno a un valore principale che ne aggrega tutti i membri e fa sì che la community sia viva, attiva e prosperi. Una raison d’être, una passione, uno scopo. Una vera e propria mission - in perfetta linea con una identità aziendale o di marca - con cui creare senso di appartenenza e per cui le persone si attivano e dedicano il proprio tempo, le proprie energie e le proprie skills.
Uno dei primi obiettivi del Community Design è allora proprio quello di trasformare la mission aziendale - spesso lontana e fredda per il comune collaboratore - in uno scopo concreto, più semplice da apprendere, e soprattutto molto più stimolante.
Ogni collaboratore va introdotto alla mission, e va stimolato per farlo sentire parte del cambiamento che l’azienda vuole intraprendere nel suo quotidiano, acquisendo quindi maggiore fiducia e maggiore autonomia nel lavoro, libero di partecipare alla creazione quotidiana di valore per l’intera organizzazione. Esattamente come in una community dove nessuno è escluso, anzi tutti sono invitati a partecipare. Gerarchie più elastiche, orizzontali e meno verticali, dove occorrono maggiore presenza dei manager e maggiore comunicazione fra tutti i reparti e i collaboratori. Al Community Designer spetta il compito di individuare le giuste attività e iniziative per praticare questa presenza e maggiore comunicazione.
Questa sorta di nuova gerarchia non deve essere ovviamente confusa con libero arbitrio. Per ogni mission esistono anche delle regole e dei perimetri ben precisi entro cui muoversi. I leader restano, ben individuati, anche se ne possono emergere di nuovi, per merito e spontaneamente. Le decisioni devono essere prese nelle giuste stanze, e sulla base dei tanti fattori che governano la vita di un’azienda.
Il Community Design facilita queste nuove relazioni, le stimola e le governa, agendo da mediatore fra le vecchie scale gerarchiche e riportando al management problematiche, pericoli e progressi, e traducendo di converso desideri, risultati e idee del management verso i collaboratori.
Spetta al Community Design decodificare e ridare vita a un nuovo dizionario che nelle grandi organizzazioni fa capo al dipartimento HR, scegliendo di volta in volta i canali giusti per comunicare con i collaboratori, e i toni corretti per farlo. Un sistema di ascolto nuovo che può basarsi molto sulle nuove tecnologie intranet per comunicare all’interno dell’azienda. E l’ascolto prevede anche un sistema di data collecting di tutto il valore che la community di collaboratori produce, in fatto di progresso tecnologico, o intuizioni di prodotto o di mercato, o idee per il marketing da discutere con il management. È solo a questo punto che il valore di questa nuova figura emerge: nel momento in cui la community dimostra di creare valore per sé e l’azienda tutta. In un vero e proprio esercizio di co-progettazione.