Si tratta essenzialmente dell’economia della condivisione, espressa in tante e diverse forme: da pari a pari (peer-to-peer economy), consumo collaborativo, economia on-demand. Un sistema economico in cui beni o servizi sono condivisi tra individui privati, in forma gratuita o a pagamento, attraverso Internet.
Noleggiare un passaggio in auto o scambiare un appartamento per le vacanze, condividere la propria rete Wi-Fi o economizzare oggetti vendendoli online. Spesso è il mero guadagno il fine ultimo ricercato, altre volte è la messa a disposizione di un bene o servizio per utilità altrui l’essenza stessa del guadagno.
Le varie forme in cui la sharing economy si è affermata ha scatenato diverse profonde interpretazioni da parte di economisti e studiosi. Chi approccia all’argomento da un punto di vista strettamente “umano” partendo dal bisogno di condividere, chi invece ha disegnato un nuovo scenario in cui l’imprenditoria si è di fatto trasferita dal singolo alla folla creando nuovi mercati e modelli.
Per esempio un altro esempio di sharing economy è la gig-economy, ossia l’economia dei lavoretti che in italiano purtroppo suona con un sapore molto negativo. Tutti i riders delle piattaforme di consegna cibo, o gli stessi autisti di Uber, o i professionisti di Helpling per le pulizie di case e uffici, rientrano in questa categoria in quanto appaltatori indipendenti di servizi. Tutte opportunità nate esclusivamente grazie al digitale e che in molti casi hanno di fatto creato un nuovo mercato, a beneficio del proprietario della piattaforma e dei prestatori d’opera.
Come tale, un nuovo mercato che ha visto diversi tentativi di essere regolamentato. Il problema qui è la totale differenza di velocità della politica con l’evoluzione digitale. Differenza poco facilmente colmabile. Ma colmarla è una necessità in molti casi. Per esempio quello più eclatante dei rider del cibo. Rimanendo in Italia, ricordiamo la vicenda di Foodora che nel 2018 aveva minacciato (o dichiarato) di lasciare l’Italia dopo il dibattito aperto dall’allora Premier Giuseppe Conte. All’epoca il Ministro del Lavoro Di Mario aveva aperto un tavolo di lavoro anche con Deliveroo. Un anno e mezzo dopo il decreto legge per garantire la tutela economica dei rider (oltre che dei lavoratori “deboli”), ma poi naufragato con altri decreti “salva imprese” e per il cambio del ministro. In quei mesi, le consegne a domicilio aumentarono in modo esponenziale.